Da qualche giorno ormai, con mio grande sconforto, sentivo che il primo aggiornamento dello Specchio non avrebbe potuto fare a meno di cadere sull’argomento cinema. In questo mese infatti, colto da un improvviso raptus consumistico, rotto ogni indugio ho settimanalmente invaso le sale di proiezione, sacrificando il mio sporco danaro sull’altare del capitalismo più sfrenato (ovvero nelle tasche dei sacerdotali proprietari dello Stardust…). Tuttavia, se pensavo che avrei ceduto alla mia smania comunicativa vinto dalla bellezza sconvolgente (ma un po’ manieristica) di Babel, o dalla perfezione stilistica di Flags of Our Fathers, scopro con una punta di sadismo che il mio primo post andrà a battere sull’insensatezza di uno dei film che più mi hanno fatto soffrire sulla poltrona di simil-velluto sintetico: Il Diavolo Veste Prada.
E siccome di insensatezza si parla, dato che ho da poco finito di vedere l’intramontabile capolavoro di Tornatore e le parole mi vengono meno, mi limiterò dopo questo velenoso incipit a sottolineare candidamente l’inutilità dell’esistenza di un film come Il Diavolo veste prada. Non solo la storia non diverte, ma è difficile persino che strappi un sorrisino stringato. Per non parlare della trama, che si appoggia a nodi talmente deboli da non poter impedire allo sfortunato spettatore di sollevare qualche tonnellata di puntigliose osservazioni, nonostante l’ultima cosa che ci si senta di fare durante la proiezione sia accendere il cervello…
Per fortuna il cast si avvale almeno di due attori dal carisma e dal fascino irresistibile – anche se pagare 7 neuri per vedere Meryl Streep e Stanley Tucci che fanno esercizi di stile, uhmmmmm – e per fortuna, aggiungo, che esistono dei produttori tanto beceri da mettere sul piatto il danaro necessario a realizzare una simile vana puttanata (chissà che non si riesca a infinocchiarne qualcuno così, prima o poi).