Giappone day 3: electronic town
Come previsto, oggi sono andato ad Akihabara.
Come previsto, mi sono perso nelle strade della "città elettronica".
Come previsto, non sono riuscito a decidermi sul modello di fotocamera da acquistare, per l'indescrivibile quantità di offerta presente al metro quadro.
Akihabara è un posto che si trova al confine tra l'incubo e il sogno, un delirio elettronico che si riversa non solo sui banchi e nelle vetrine dei negozianti, arroccati dietro tonnellate di aggeggi più o meno seri e ninnoli circuitati di ogni genere, ma anche sulle facciate dei palazzi, sui ponteggi dei lavori in corso, su ogni angolo sfruttabile e puntualmente sfruttato per inserire una frenetica insegna luminosa. In questo universo colorato e caotico si aggirano effimere figure di ragazzine vestite con improbabili vestiti da cameriera inglese di fine '800, e strani personaggi usciti dritti dritti da un Cosplay Contest. E al mondo frenetico e luminoso di consumo assoluto delle strade principali, si contrappone quello meticoloso e maniacale delle gallerie anguste che si intrecciano alle loro spalle, in cui i voyeur di tutta Tokyo vanno a reperire il materiale necessario al loro hobby. Psicante. Allucinifero. Bellissimo.
Alla fine della giornata, se non avevi ben chiaro cosa sei andato a cercare li, hai due possibili sbocchi fatali. Il primo è: amnesia da stato confusionale, totale incapacità di orientarsi coerentemente verso un obiettivo geografico definito, un mal di testa formato Gamera e la promessa di tornare di nuovo nei giorni successivi ("Akihabara, hai vinto una battaglia, ma non la guerra!..."). L'altro: uno o più sintomi combinati della sindrome dell'acquisto incontrollato, a scelta tra euforia videoludica, ebetudine elettronica integrata, pupille dilatate da crisi mistico-spirituale (accompagnata solitamente da conversione improvvisa al Dio Gachapon) e logorrea sintetico-emotiva (questa in genere deriva dal primo sintomo); buste piene dei più diversi e ultimissimi videogames, manga, fototeledigimaccanocamere, schermi ultrapiatti e ogni sorta di componentistica elettronica; portafogli svuotato fino all'ultimo yen; un mal di testa formato Gamera e la promessa di tornare di nuovo nei giorni succesivi ("Akihabara, hai preso tutti i miei soldi, ma forse riesco a racimolarne ancora!..."). Fortunatamente (o sfortunatamente, a seconda dei punti di vista, tra cui il mio) faccio parte della prima categoria di malati mentali e avevo inoltre una serie di vaccino preventivo, sapendo già cosa mi aspettava per esserci venuto altre volte.
Nel mio cervello gira però un'idea, niente più che un rimasuglio di informazione recuperata dal cestino virtuale della Ragione dal mio Inconscio. Playstation 3, seconda mano, 42.000 yen...
Come previsto, mi sono perso nelle strade della "città elettronica".
Come previsto, non sono riuscito a decidermi sul modello di fotocamera da acquistare, per l'indescrivibile quantità di offerta presente al metro quadro.
Akihabara è un posto che si trova al confine tra l'incubo e il sogno, un delirio elettronico che si riversa non solo sui banchi e nelle vetrine dei negozianti, arroccati dietro tonnellate di aggeggi più o meno seri e ninnoli circuitati di ogni genere, ma anche sulle facciate dei palazzi, sui ponteggi dei lavori in corso, su ogni angolo sfruttabile e puntualmente sfruttato per inserire una frenetica insegna luminosa. In questo universo colorato e caotico si aggirano effimere figure di ragazzine vestite con improbabili vestiti da cameriera inglese di fine '800, e strani personaggi usciti dritti dritti da un Cosplay Contest. E al mondo frenetico e luminoso di consumo assoluto delle strade principali, si contrappone quello meticoloso e maniacale delle gallerie anguste che si intrecciano alle loro spalle, in cui i voyeur di tutta Tokyo vanno a reperire il materiale necessario al loro hobby. Psicante. Allucinifero. Bellissimo.
Alla fine della giornata, se non avevi ben chiaro cosa sei andato a cercare li, hai due possibili sbocchi fatali. Il primo è: amnesia da stato confusionale, totale incapacità di orientarsi coerentemente verso un obiettivo geografico definito, un mal di testa formato Gamera e la promessa di tornare di nuovo nei giorni successivi ("Akihabara, hai vinto una battaglia, ma non la guerra!..."). L'altro: uno o più sintomi combinati della sindrome dell'acquisto incontrollato, a scelta tra euforia videoludica, ebetudine elettronica integrata, pupille dilatate da crisi mistico-spirituale (accompagnata solitamente da conversione improvvisa al Dio Gachapon) e logorrea sintetico-emotiva (questa in genere deriva dal primo sintomo); buste piene dei più diversi e ultimissimi videogames, manga, fototeledigimaccanocamere, schermi ultrapiatti e ogni sorta di componentistica elettronica; portafogli svuotato fino all'ultimo yen; un mal di testa formato Gamera e la promessa di tornare di nuovo nei giorni succesivi ("Akihabara, hai preso tutti i miei soldi, ma forse riesco a racimolarne ancora!..."). Fortunatamente (o sfortunatamente, a seconda dei punti di vista, tra cui il mio) faccio parte della prima categoria di malati mentali e avevo inoltre una serie di vaccino preventivo, sapendo già cosa mi aspettava per esserci venuto altre volte.
Nel mio cervello gira però un'idea, niente più che un rimasuglio di informazione recuperata dal cestino virtuale della Ragione dal mio Inconscio. Playstation 3, seconda mano, 42.000 yen...